La ricerca della giustizia, inizia da se stessi!
(estratto dal "Codice delle Leggi")

Bruno E. G. Fuoco

-Approccio olistico al diritto
-La definizione di Giustizia.

1. Approccio olistico al diritto.

Il Diritto, nell’accezione ordinaria, è inteso come il complesso di norme che individuano le condotte umane obbligatorie, vietate o permesse nell’ambito delle relazioni tra i membri della collettività (cd. diritto oggettivo).

Il Diritto svolge funzioni fondamentali per la vita sociale, come quella ordinatrice, regolatrice e portatrice di Giustizia.
A ben vedere, queste funzioni albergano, prima ancora che nelle leggi giuridiche, dentro di noi e nell'Universo, quali Leggi Morali, cioè quali leggi oggettivamente e fisicamente operanti nella nostra Vita.

L’approccio “olistico” vuole sottolineare, in questo ambito, due aspetti: il volersi conformare a Leggi Morali intese quali leggi fisiche o di Natura, nonché l’attenzione “per l’intero” di cui la vita interiore individuale è “parte”. Si è detto, infatti,: “c’è un codice morale iscritto nel tessuto stesso della natura e del cosmo … qualsiasi cosa facciamo influisce in qualche modo su ciò che ci circonda, sulla rete della vita. Nessun aspetto della vita può essere separato dalla Comunità e dall’ambiente” (W. Bloom).

L'Etica, come afferma E. Morin, è la coscienza di essere in relazione, di essere interdipendenti: rispetto agli altri esseri umani e rispetto al mondo fisico che abitiamo. La negazione dell'Etica, sostiene Morin, è il dimenticare di essere parte dell'universo biologico.

Questo intrinseco legame tra l’individuo e l’Universo venne esplicitato da Platone con queste parole: “Anche quel piccolo frammento che tu rappresenti, o uomo … ha sempre il suo intimo rapporto con il cosmo o un orientamento a esso, anche se non sembra che tu ti accorga che ogni vita sorge per il tutto e per la felice condizione dell’universa armonia. Non per te infatti questa vita si svolge, ma piuttosto tu vieni generato per la vita cosmica” (Le Leggi X, 903 c).

Osserva lo scienziato H. Maturana, "niente di ciò che facciamo come esseri umani è banale, e tutto quello che facciamo diventa una parte del mondo da noi realizzato come entità sociali immerse nel linguaggio ... la responsabilità umana nei multiversi è totale (Autocoscienza e realtà, pagg. 125-126).


L’etica o la morale, in virtù di tali relazioni di interdipendenza, possiedono, a ben vedere, una base razionale e oggettiva, ottimamente illustrata dallo scienziato E. Laszlo secondo il quale: “possiamo discernere tra bene e male, giusto e sbagliato. Questo perché nel modo in cui le cose sono, alberga effettivamente, un’indicazione di come dovrebbero essere. Le cose non sono passive, inerti, ma si evolvono e co-evolvono con le altre … possiamo dire se un’azione merita di essere considerata bene o male in relazione al fattore che dà energia al processo evolutivo: più esattamente, in relazione al fattore che, se manca, lo indebolisce. Questo fattore è la coerenza. Come una particella è coesa a un’altra, un atomo a un altro atomo in una molecola, e una molecola, cellula, organismo ... con altre molecole … così in una biosfera planetaria la coerenza permette l’evoluzione di forme più elevate per struttura e complessità accompagnate da forme più elevate di mente e coscienza. La coerenza dà forza all’evoluzione anche nel mondo umano. La coerenza in noi significa salute: il funzionamento ottimale del corpo ... quando un organo non è coerente con il resto funziona male … a sua volta la coerenza intorno a noi equivale al funzionamento integrale dei gruppi e delle organizzazioni di cui facciamo parte: famiglia, comunità, nazione ...La coerenza in noi e intorno a noi sono collegate e si rafforzano a vicenda … Tutto quello che facciamo promuove o ostacola la coerenza e quindi l’evoluzione e lo sviluppo dell’ambiente … comportamenti caratterizzati da equità, mutuo rispetto e solidarietà meritano di essere valorizzati e premiati” a differenza dei comportamenti antisociali e antiecologici che meritano di essere sanzionati. La dimensione morale nella vita, afferma Laszlo, la possiamo ritrovare, allora, nella capacità di discernere l’azione che “promuove coerenza dentro di noi e intorno a noi”.

Il bene, conseguentemente, è costituito da intenzioni (energie del mondo interiore) e azioni (energie del mondo fisico) costruttive in rapporto al processo evolutivo.

L’idea del “vivere coerentemente alla Natura”, adombrata nell’etica stoica, è ben esplicitata e attualizzata nella prospettiva di Laszlo anche sulla base delle conoscenze scientifiche dei nostri giorni.

La morale, in realtà, "non è stata inventata dagli uomini, dalla società o dalle istituzioni religiose, essa è reale in quanto è insita nella Natura e nell’uomo ... la morale designa un insieme di leggi inscritte nell’organismo umano, nel cuore delle cellule dei suoi organi" (O. M. Aïvanhov).

L’approccio olistico al diritto promuove le regole coerenti con la Morale come sopra descritta, cioè coerenti con il processo evolutivo e preordinate alla tutela della giustizia nel nostro modo di vivere, cioè di pensare, di sentire e agire. I destinatari di queste regole, in primis, non sono gli altri, ma siamo noi stessi.

Ma nel cercare con sincerità la giustizia (si è detto, se pur con una prospettiva diversa): all’inizio, “ognuno è di fronte a se stesso” (G. Zagrebelsky).

Come l’educazione olistica “mira alla trasformazione dell’umanità, incominciando da noi stessi”, così l'approccio olistico si prefigge di aumentare la Giustizia nella nostra vita collettiva, iniziando, però, da noi stessi.
Non si tratta di moralismo, ma di non coltivare illusioni: non si può trasmettere agli altri ciò che non possediamo. Dobbiamo, dunque, partire da noi stessi, da quel nucleo forte e positivo che tutti possediamo.

Il diritto olistico può essere inteso, allora, come insieme di regole destinate, soprattutto, a se stessi, ma dotate, comunque, di una certa rilevanza per tutta la collettività. La vita, anche quella interiore, genera effetti sulla vita collettiva, pure in ragione della comune atmosfera psichica condivisa. Questa circostanza ammessa dagli insegnamenti spirituali trova importanti conferme anche nel pensiero scientifico, in tema di studi ed esperimenti condotti sull’azione del mondo interiore (meditazione, preghiera …) [ ...]

Ad esempio, anche il ruolo dell’intenzione cosciente comincia a farsi spazio nelle teorie scientifiche: “in un universo interconnesso a livello sottile, dove le persone possono accedere a qualche aspetto della coscienza degli altri ... è probabile che una persona intuisca intenzioni che inducono coerenza in un’altra come presenza di bene, intenzioni che inducono incoerenza in un’altra come presenza di male. Questo conferisce responsabilità morale non soltanto alle nostre azioni, ma anche alle nostre intenzioni. Possiamo produrre il bene nel nostro ambiente anche sintonizzando le nostre intenzioni verso la coerenza e il male tramite le nostre intenzioni di frammentazione, separazione, incompatibilità e caos” (E. Laszlo).

L'approccio olistico valorizza e responsabilizza la condotta interiore e quella esteriore, in quanto entrambe rilevano per la collettività sul piano oggettivo e soggettivo. In una parola, questo approccio valorizza l'esigenza di essere un esempio.

[...]

Le leggi giuridiche sono, evidentemente, necessarie ed utili, ma esprimono, in modo incompleto, la “funzione giuridica” necessaria alla collettività umana.

Queste leggi non garantiscono che siano rispettati i relativi contenuti valoriali, sia in sede di comportamento spontaneo del singolo, sia in sede di applicazione delle sanzioni. Non a caso, il diritto attuale non è idoneo a orientare le forze egocentriche perturbatrici degli equilibri naturali nei molteplici campi della vita. Anche le leggi giuridiche aventi contenuti elevati e qualificati rischiano di essere frustrate da volontà umane fraudolente, come tutti possono constatare.

Di qui la necessità di un diritto, non alternativo, ma complementare rispetto a quello ordinario, cioè di un approccio olistico al diritto. Vi è la necessità di recuperare un diritto che si occupi delle cause, di un diritto che ponga in luce le prescrizioni che sono “in rerum Natura”, cioè coerenti con la natura spirituale dell’uomo. Per queste ragioni, il diritto olistico può fondarsi, solamente, sulla consapevolezza e sulla volontarietà.

Ma ciò non toglie che anche questo diritto abbia un intenso vinculum iuris, un vincolo, a ben vedere, ineludibile in quanto governato non dalle mutevoli istituzioni umane, ma dall’Intelligenza della Vita e della Natura.

L'espressione "diritto olistico" è nota negli Stati Uniti, sia a livello accademico che di prassi, con riferimento alle professioni legali, nell'ambito del movimento dei giuristi aderenti al "The Comprehensive Law Movement". In questo contesto, l'approccio olistico porta alla valorizzazione, ad esempio, della “giustizia riconciliativa” o “ricostitutiva” (restorative justice) "della quale si rintraccia la presenza già nel diritto ebraico, nell'istituto del ryb (un procedimento per riparare i torti configurato come a disputa a due il cui scopo non è la punizione del colpevole, ma il ricomponimento della controversia attraverso il riconoscimento del torto compiuto e il perdono) per arrivare a esperienze recenti come quella offerta dalla Commissione di verità istituita in Sudafrica nel dicembre 1995 con il compito di condurre fuori dall'odio e dalla violenza generati dalla politica della apartheid e aprire a un paese dilacerato la strada della pacifica convivenza. Qui lo scopo non è la punizione del colpevole ma il componimento della controversia attraverso il riconoscimento del torto compiuto, il perdono e quindi la riconciliazione e la pace. È l'umanità dell'avversario che si cerca di toccare e su questa si vuol influire, perché si è interessati prima di tutto a essa. L'obiettivo non è dunque la giustizia retributiva … È invece il ristabilimento di una comunanza, incrinata o infranta dal torto commesso e subìto. L'immagine non è l'occhio per occhio, ma il nodo da riallacciare. Per reintegrare il diritto e quindi il rapporto, l'offeso assume il ruolo di accusatore ma, in un certo senso, anche di giudice, perché la sua azione contro l'altra parte non si ferma finché anch'essa giunge a riconoscere il torto commesso, manifesta l'interesse a ristabilire con l'offeso il legame vitale infranto e si dispone a una condotta conseguente. L'eventuale risarcimento non è propriamente una pena ma l'ovvia conseguenza dell'ammissione di colpa. I due contendenti vedranno così ristabiliti legami originari, rinnovati e persino resi più forti” (così G. Zagrebelsky, Definire la giustizia cit.).

Nella nostra prospettiva, l’approccio olistico al diritto va oltre il momento professionale per abbracciare la complessiva armonizzazione del singolo ai valori di giustizia. Il diritto nell’approccio olistico non è un costrutto mentale ma un modo di essere da perseguire e da realizzare. Questo approccio può aiutarci a guarire dalle ingiustizie, in primis, dalle nostre, e può consentirci di contribuire, tramite l’acquisizione di una maggiore consapevolezza, in modo più autentico al miglioramento della vita collettiva.

Il diritto ordinario disciplina le relazioni esterne tra gli uomini che si esplicitano in fatti esteriori, prevedendo uno specifico apparato sanzionatorio. Le leggi giuridiche recano prescrizioni rivolte alla condotta umana, una volta che essa risulti visibile, esteriorizzata. Occuparsi delle condotte esteriori, vuole dire, però, occuparsi dei fatti, cioè delle conseguenze, posto che l’atto umano è l’ultimo tassello di un processo iniziato nel mondo interiore. Il diritto olistico disciplina anch’esso le relazioni esterne tra gli uomini, ma nella fase germinale. La genesi delle relazioni esterne tra gli uomini si colloca, infatti, nella sfera interiore e nell’atmosfera psichica collettiva. In queste atmosfere si disegna ciò che, successivamente, si manifesterà. I contenziosi e le sofferenze per le ingiustizie germogliano nella realtà esteriore in quanto sono stati, preliminarmente, seminati nel territorio interiore. Proprio in questo territorio, l'approccio olistico al diritto può proiettare la sua Luce. Le ingiustizie e i conflitti si possono e si debbono curare nella società laddove si manifestino, ma è preferibile agire al fine di prevenirne l’insorgere.

Non a caso il Preambolo alla Costituzione dell’Unesco, firmata a Londra il 16 novembre 1945, contiene un’affermazione profonda coerente con quanto evidenziato: “… poiché le guerre nascono nello spirito degli uomini, è nello spirito degli uomini che devono essere poste le difese della pace”.

Questo precetto riconosce, espressamente, che la causa della pace si trova nel mondo interiore dell’uomo, cioè, secondo il linguaggio atecnico della Costituzione citata, “nello spirito degli uomini”. La cultura dovrebbe sostenere la consapevolezza di questa problematica.

Parimenti, se vogliamo una società più equa dobbiamo partire da noi stessi, in quanto il gesto concreto connotato da “ingiustizia” riflette una relazione interiore ottenebrata tra la propria coscienza e il bene che si vuole conquistare o difendere, a seconda dei casi.

Questo aspetto è per noi faticoso da accettare perché siamo abituati a non prestare attenzione alla semina delle nostre forze, delle nostre energie; questa è una fase che non percepiamo perché ci è stato insegnato che essa è o irreale o libera da regole; siamo stati abituati a cimentarci con i soli fatti esteriori e ora ci costa fatica preoccuparci ab initio della semina. Effettivamente, per riappropriarci consapevolmente di questa porzione della nostra vita, spesso istintiva, occorrono nuove energie psichiche che dobbiamo distogliere da altre attività meno importanti, ma alle quali, spesso, siamo molto attaccati. Alla base di questa nuova conquista occorre, dunque, un apparente sacrificio, cioè un disinvestimento di energie da un vecchio ambito per poter procedere ad un investimento delle stesse energie in nuovi ambiti più costruttivi.

2. La definizione di Giustizia

Le definizioni della Giustizia offerte nella storia del pensiero sono state numerose e hanno riguardato profili molto diversi: individuali, sociali, civici, spirituali, religiosi, filosofici, giuridici etc. (1)

A nostro avviso, la definizione, in questa epoca, densa di maggiori potenzialità trasformatrici del nostro stile di vita, perché solo in questa ottica si muove il nostro interesse, è quella che possiamo ricavare dal pensiero di O. M. Aïvanhov il quale ha saputo declinare nei vari atti della vita quotidiana il valore della giustizia intesa come qualità di misura e ha saputo illustrare la rete della vita grazie alla quale riusciamo a vivere e della quale dobbiamo essere consapevoli e grati (cfr., ad esempio, La Bilancia cosmica - la scienza dell’equilibrio - Prosveta).

Che la giustizia debba essere posta in relazione alla ricerca di un equilibrio, di una giusta misura e che in moltissime tradizioni la giustizia sia stata correlata al simbolo della bilancia, è notorio (2). Ma che la giustizia debba palesarsi, dapprima, come una qualità dei nostri pensieri, dei nostri sentimenti, e poi delle nostre azioni costituisce un aspetto di estrema attualità e poco coltivato dalla cultura tradizionale molto attenta alla mera analisi del pensiero dei singoli studiosi, piuttosto che alla sperimentazione dei valori nella vita vissuta.

Certamente anche Platone aveva già, acutamente, affermato che la giustizia “consiste nell'adempiere i propri compiti non esteriormente, ma interiormente, in un’azione che coinvolge veramente la propria personalità e carattere” (Repubblica IV, 443 c).

Ma, come si traduce concretamente questa affermazione? Questo è il vero problema da approfondire per non restare irretiti da questioni nominalistiche.

La parola "equilibrio" deriva dal latino aequilibríum (da aequus, uguale, e libra, bilancia) ed esprime "lo stato di un corpo che si mantiene ritto per giusto contrappeso" (Sapere). L'equilibrio esprime "lo Stato di quiete di un corpo, condizione per la quale un corpo sta fermo per un compensarsi delle azioni che su di esso si esercitano, o, anche muovendosi, conserva un suo determinato assetto" (Treccani). Ma quali sono le attività che fanno da contrappeso e che permettono la Vita, cioè la continua oscillazione della bilancia?

Noi viviamo, come afferma il prof. M. Laitman, “nel sistema della natura, ed in essa governa una legge, ”la legge dell’equilibrio suddivisa in due azioni principali, la ricezione e la Dazione. Nello stato ideale dell’equilibrio, la legge della ricezione segue questa logica: “ognuno secondo le proprie necessità”, mentre la legge della dazione funziona così: “ognuno secondo le proprie capacita … La Natura governa i livelli, inanimato, vegetale ed animale e li equilibra per fare si che restino in armonia mutua. Per questa ragione tutti gli elementi in Natura, consumano soltanto ciò che è necessario per la sopravvivenza... L’uomo, tuttavia, deve raggiungere lo stesso equilibrio mutuo con essa, mediante la sua partecipazione cosciente ... La società insegna all’uomo come deve comportarsi verso la caratteristica della ricezione che è impressa in lui… non rubare, non uccidere, ecc… ma non esiste nessun obbligo, da parte della società, riguardo al mettere in pratica la caratteristica della Dazione ... Oggi giorno siamo arrivati ad uno stato in cui, tutti noi dipendiamo dagli altri; siamo come ruote dentate, assemblate con precisione in un sistema che attualmente è contrario alla Natura. Questa è un’enorme preoccupazione perché è l’unica causa delle crisi contemporanee”.

Il meccanismo di equilibrio su cui poggia il pianeta è presente, spiega il famoso genetista K. Marukami, anche nei geni come principio di “autoregolazione”: “per ogni ambiente la natura ha previsto un numero appropriato. Se una specie animale supera un certo numero, la sua popolazione inizia a decrescere ... lo stesso fenomeno si ritrova nei geni … i nostri geni sono programmati per mantenere un numero appropriato e la morte è un parte essenziale di questo processo… viceversa, uno sguardo al comportamento umano suggerisce che abbiamo perduto l’arte di autoregolarci a mano a mano che si è avvicinata l’era moderna” (3).

Il processo di autoregolazione è il cardine della teoria della Terra quale organismo vivente (Ipotesi Gaia) elaborato dallo scienziato Lovelock: la teoria di Gaia supera il sapere convenzionale che considera la Terra un pianeta morto fatto di rocce, oceani e atmosfera inanimati, e semplicemente abitato dalla vita. Bisogna considerare la Terra come un vero e proprio sistema, che comprende tutta quanta la vita e tutto quanto il suo ambiente strettamente accoppiati così da formare un’entità che si autoregola...Non possiamo più pensare alle rocce, agli animali e alle piante come se fossero entità separate. La teoria di Gaia dimostra che c’è una stretta concatenazione fra le parti viventi del pianeta – piante, microrganismi e animali – e le sue parti non viventi – rocce, oceani e atmosfera (F. Capra, La rete della Vita).

L’organismo "non è un sistema statico chiuso verso l’esterno e tale da contenere sempre gli stessi componenti: è un sistema aperto in stato (quasi) stazionario…. E che, rispetto all’ambiente esterno, è in una relazione continua di scambio di materiali” (Ludwig von Bertalanffy).

Ma "equilibrio", come spiega O.M. Aïvanhov, non significa immobilità. Con la creazione, "la bilancia cosmica si è messa in movimento, ha iniziato ad oscillare. La Creazione presuppone una perpetua oscillazione dei due piatti della bilancia, e finché non sarà terminata ... la bilancia continuerà ad oscillare. L'oscillazione della bilancia esprime che la Creazione è sempre in divenire. L'equilibrio perfetto impedirebbe gli scambi; ora, la vita è fatta unicamente di scambi. Tuttavia questo movimento deve essere misurato, perché se uno dei due piatti si alza eccessivamente, l'altro si abbassa troppo, e si ha la caduta: l'oscillazione si ferma e non c'è più vita. Ciò che chiamiamo "equilibrio" è dunque in realtà un certo disequilibrio, un equilibrio momentaneamente rotto per essere subito ristabilito. Da questa rottura di livello, scaturiscono forze che devono essere rapidamente riprese da un movimento contrario, al fine di essere dominate. È quindi questa oscillazione a generare la vita, e si può dire che la vita sia uno squilibrio continuamente corretto". Coerente con questo pensiero appare la teoria delle strutture dissipative del premio nobel I. Prigogine.

Ciò detto, possiamo affermare pacificamente che la nostra Vita nei mondi fisici e psichici poggia su un equilibrio, su uno scambio tra il dare e il ricevere. Ogni organismo vivente "si trova in un processo costante di cambiamento del mondo in cui vive prendendo dei materiali ed espellendone altri. Ogni atto di consumo è anche un atto di produzione e viceversa. Quando consumiamo del cibo, produciamo non solo gas ma anche prodotti solidi di scarto, che sono a loro volta i materiali di consumo di altri organismi" (L. Margulis – D. Sagan, Microcosmo. Dagli organismi primordiali all’uomo: un’evoluzione di quattro miliardi di anni).

Afferma il famoso scienziato Maturana: "voglio un mondo nel quale si rispetti la natura che ci alimenta, un mondo nel quale si restituisca quello che la natura ci presta per vivere. In quanto esseri viventi siamo esseri autonomi, ma nel vivere non lo siamo” (H. Maturana – X. Dàvila, Emozioni e linguaggio in educazione e politica).

Questa condivisbile affermazione, risulta cruciale in tema di giustizia. Ma cosa riceviamo e doniamo? Cosa dobbiamo porre, concretamente, sui due piatti della bilancia?

La risposta potrebbe essere semplice: la nostra vita, ci ricorda O.M. Aïvanhov, è possibile grazie alle molteplici risorse (aria, luce solare, acqua, calore, corpo fisico...) prodotte e fornite dalla Natura, dai genitori ...cioè da tanti organismi viventi. Ma anche il Paese e la società nei quali viviamo offrono risorse importanti ottenute con il lavoro, con il sacrificio di chi ci ha preceduto. Tanti esseri hanno lavorato per permettere la nostra vita sulla Terra. Noi, a nostra volta, dobbiamo dare qualcosa ai soggetti dai quali abbiamo preso e dovremmo pensare ad agire per il meglio anche per le future generazioni. Infatti, si è detto, a questo proposito, che dovremmo avere "una coscienza con il teleobiettivo, cioè che veda in alto e lontano nello spazio e nel tempo" (Hans Jonas).

Sui piatti del dare e del ricevere dovremmo considerare, però, come illustrato da O.M. Aïvanhov, tutte le energie della nostra vita, comprese quelle che sgorgano dai nostri cuori e dalle nostri menti (affetto, stima, sostegno morale, gratitudine …). L’equilibrio tra dare e avere riguarda, quindi, anche le energie psichiche che sono energie reali in Natura e del cui corretto uso si occupano le leggi Morali.

In senso stretto, "la giustizia è una qualità di misura: essere giusto, come ci indica il simbolo della bilancia, significa riuscire a conservare sempre l'equilibrio; non ci si appoggia mai su un solo piatto della bilancia, ma si sta attenti ad aggiungere un po' da una parte e togliere un po' dall'altra" (Aïvanhov) in quanto nella vita, come sopra rilevato, non vi è immobilismo, ma una continua oscillazione, cioè “uno squilibrio continuamente corretto".

La giustizia è, dunque, una qualità di misura delle risorse che prendiamo, assorbiamo e di quelle che doniamo.

La definizione di giustizia, allora, contiene due profili:

- uno formale indicante il rispetto di una misura, il rispetto del livello di equilibrio tra i due piatti della bilancia, tra le due attività fondamentali e necessarie sulle quali poggia la nostra vita, cioè il prendere e il dare. Evidentemente, rispettare la giusta misura nell’arco della propria esistenza è estremamente difficile, stante la natura anche immateriale delle energie che riceviamo e doniamo. Ma se non rispettiamo l'equilibrio, in quanto prendiamo più di quello che doniamo, siamo nella ingiustizia formale e sostanziale. Se non rispettiamo l'equilibrio, in quanto doniamo più di quanto riceviamo, siamo sul piano formale ingiusti, ma nella sostanza entriamo nella dimensione superiore dell'amore (4). Per tale ragione, la giustizia rispetto al percorso evolutivo individuale, non è l'obiettivo finale, non è la massima delle virtù (come affermato da alcune correnti filosofiche), ma una tappa intermedia seria e ineludibile, una porta da superare. Chi aderisce ad una prospettiva egocentrica, predatoria non varca quella porta in quanto ha scelto di ripiegarsi su se stesso, sui suoi presunti ed illusori bisogni che premono, incessantemente, come le sirene incontrate da Ulisse. Non si tratta di punizione, ma di autolimitazione;
- uno sostanziale, oggetto esso stesso di misurazione, ovvero, un’attitudine coerente con l’evoluzione, cioè pensieri, sentimenti e gesti di natura altruistica e cooperativa. Questa attitudine dovrebbe manifestarsi sia quando prendiamo e sia quanto doniamo. Possiamo, infatti, ricevere con gratitudine, riconoscenza, nel rispetto di una misura connaturata ai bisogni naturali e possiamo dare con altruismo e impersonalità.

La legge di giustizia, in termini concreti, ci avverte: esaminate con molta sincerità, come vi comportate “con i vostri genitori, i vostri figli, i vostri amici, con la società, con la natura e infine con Dio. Scoprirete che avete preso una quantità di cose alle creature visibili e invisibili, senza preoccuparvi minimamente di restituire. Avete, dunque, dei debiti …” (Aïvanhov, op. cit. pag. 198).

In questo senso, l'affermazione dei filosofi antichi secondo cui "iustitia est ad alterum" cioè la giustizia riguarda il mio rapporto con l'altro, è condivisibile, se per "altro" non intendiamo, esclusivamente, le persone che incontriamo nel corso della vita e se con la parola “rapporto” ricomprendiamo l’uomo nella sua interezza (pensieri, sentimenti e azioni).

Ad esempio, dovremmo avere un’attitudine di rispetto nei confronti delle risorse che la Natura elabora per noi, nei confronti delle nostre cellule che hanno una loro vita e che lavorano con compiti diversi ed in funzione cooperativa, sempre, per Noi. Perché, allora, nella catena della Vita noi uomini dovremmo lavorare, invece, in funzione egocentrica e non cooperativa? (cfr.>> Evoluzione)

"I livelli: inanimato, vegetale e animale della Natura, agiscono seguendo i loro propri istinti e non possiamo qualificare le loro azioni come buone o cattive perché essi semplicemente e sinceramente obbediscono al loro programma, in perfetta armonia e reciprocità con la Natura e tra di loro. Tuttavia, studiando la condizione umana, scopriamo che essa è, essenzialmente diversa dal resto della Natura, infatti l’uomo è l’unica creatura che sente piacere nello sfruttare e dominare i suoi simili e che si compiace nell’isolarsi e nell’ essere unico e superiore agli altri. Così facendo, l’egoismo dell’uomo è in lotta con la Natura e ne altera l’equilibrio. I secoli di evoluzione dell’egoismo non ci hanno portato la felicità e neanche la garanzia minima di un futuro stabile quindi siamo confusi e il nostro sconcerto è all’origine delle crisi e delle sfide che ci tormentano. La predilezione che l’essere umano ha per ricercare piacere a spese degli altri si è intensificata col passare del tempo e oggi giorno, alcune persone ritengono giusto costruire il loro successo sulla rovina del prossimo e l’intolleranza, l’alienazione e l’odio raggiungono livelli spaventosi, ponendo a rischio l’esistenza stessa della specie umana. Nell’esaminare la Natura, vediamo che tutte le creature viventi sono state create per osservare i principi dell’altruismo e per prendersi cura degli altri. Le cellule dell’organismo sono unite da un vincolo di donazione reciproca e tutte concorrono al mantenimento del corpo. Ogni cellula usa ciò che è necessario al suo sostentamento e dona la restante energia a beneficio dell’organismo. In ogni livello della Natura, l’individuo lavora per il bene di un tutto, del quale è parte integrante e nel farlo trova la pienezza. Senza il funzionamento altruista, il corpo non potrebbe sussistere e la vita stessa non sarebbe possibile. Oggi, dopo numerose ricerche in diversi campi, la scienza è arrivata alla conclusione che anche l’umanità, è parte di un unico organismo, ma purtroppo non sembra ancora rendersene conto.Dobbiamo capire che tutti i problemi attuali non sono una semplice coincidenza e non potremo risolverli con le formule usate in passato, ma continueranno a crescere fino ad obbligarci ad adempiere alla legge della Natura, la legge dell’altruismo" (M. Laitman).

Attualmente, questa sensibilità è sviluppata relativamente alle relazioni genitori – figli. In questo ambito si ritiene ingrato il figlio che non ha rispetto e riconoscenza per i sacrifici dei genitori. L’esempio del figlio ingrato rispetto ai sacrifici dei genitori tocca sempre le nostre coscienze. Ma forse anche noi adulti riceviamo ed usiamo tante risorse sulla cui origine non ci poniamo molti interrogativi. Proprio come quei figli ingrati, ci rifiutiamo di considerare che le risorse che impieghiamo sono limitate, dimensionate, nonché ottenute con il lavoro e il sacrificio di altri esseri.

Mai come adesso, si è detto, "ci dobbiamo sentire lontani dall’ideale baconiano di dominio sulla Natura; lontani dal considerarla, con Leopardi, matrigna; lontani da Laplace, che la identificava con un meccanismo; e dobbiamo invece sentirla, come appunto ha scritto Edgar Morin, Terra-Patria" (Complessità e formazione, AA.VV, Enea, 2008). Morin afferma che "il nostro legame consustanziale con la biosfera ci porta ad abbandonare il sogno di Prometeo del dominio della natura per l’aspirazione alla convivialità della Terra...che non è la somma di un pianeta fisico, di una biosfera e di una umanità. La Terra è una totalità complessa fisica-biologica-antropologica".

Ad esempio, dovremmo riflettere sul fatto che mangiare oltre misura è un atto ingiusto verso le nostre cellule in quanto ne aggraviamo i compiti, oltre ad essere un atto antisociale: “mangiando più del necessario ci si abitua a prendere quello che è destinato ad altri, e se sono in molti a fare la stessa cosa, alcuni mangiano troppo e altri non abbastanza; ne consegue uno squilibrio nel mondo. Tutti i malintesi, tutti gli scontri hanno come origine la bramosia, l'avidità, la mancanza di misura di coloro che accumulano ricchezze (cibo, terreni, oggetti) di cui altri vengono allora privati ... Il bisogno di prendere, di assorbire più di quanto necessita, spinge gli esseri ad asservire gli altri e perfino a sopprimerli alla minima resistenza od opposizione. Si deve dunque iniziare molto presto a dominare, misurare e regolare questo bisogno di accaparrare tutto. Se non lo si sorveglia, può prendere proporzioni gigantesche in tutti i campi dell'esistenza, e sarà fonte delle più grandi ingiustizie e dei più grandi mali” (O.M. Aïvanhov). Non a caso, secondo le stime del Global Footprint Network, la domanda di servizi ecologici da parte dell'umanità eccede, da alcuni decenni, la capacità rigenerativa, l'offerta del sistema Terra, a cagione dell’eccessivo tenore di vita. Se riuscissimo a nutrirci in modo misurato, con gratitudine, senza far uso, ad esempio, di carne animale, compiremmo senza dubbio un atto piccolo, ma encomiabile in quanto portatore di giustizia. Eppure, molti ritengono normale imporre al mondo animale direttamente e indirettamente una serie di violenze, ormai note a tutti, al fine di poter compiacere il proprio palato (5).

Ad esempio, potremmo riflettere sul fatto che quando prendiamo, in modo egocentrico, cioè senza gratitudine e senza contraccambiare, gli affetti e la stima, noi stiamo, forse, svaligiando, simbolicamente, la banca altrui.

In effetti, è agevole teorizzare una umanità più giusta o riflettere sull’idea di giustizia, difficile è, invece, per noi agire sui nostri molteplici attaccamenti egocentrici e ammettere che anche questi si collocano, a pieno titolo, nella filiera delle ingiustizie che solo teoricamente non vorremmo vedere nel mondo, soprattutto, quando noi ne siamo i destinatari.

Cercare la giustizia in modo autentico vuole dire iniziare ad agire sulle nostre tendenze egocentriche, per non essere noi stessi un piccolo tassello delle ingiustizie che operano nel mondo. Occorre aumentare lo spettro della nostra sensibilità e coscienza in tutti i campi della vita, al fine di mettere in circolo una nuova qualità di energie. Come affermava Ghandi, “Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”.

L’approccio olistico e spirituale reca una grande sfida in quanto promuove una cultura fatta di intelletto e di cuore per migliorare concretamente i propri stili di vita. Nel passato, la cultura dell’esempio non era sconosciuta. Paradigmatico a questo proposito, è quanto accadde al filosofo Zenone al quale gli Ateniesi riconobbero pubblici onori con la seguente motivazione: "Poiché Zenone di Cizio ... per molti anni è stato nella nostra città per far filosofia e per tutto il resto ha vissuto da uomo buono, e i giovani che andavano da lui, esortandoli alla virtù e alla moderazione, li spingeva alle cose migliori dopo aver offerto a tutti la propria vita come modello; con il favore del Fato ha decretato il popolo di dar lode a colui che era coerente con i discorsi che faceva con gli altri, a Zenone di Cizio, figlio di Mnasea, e attribuirgli una corona d’oro secondo la legge, in riconoscimento della virtù e della moderazione, e di costruirgli anche un sepolcro a spese pubbliche nel Ceramico" (SVF I.7).

[...]

Ma quali criteri e metodi possono aiutarci a prevenire o ad affrontare i conflitti? ...

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(1) La parola “giustizia” ha molteplici accezioni. In senso giuridico-politico, è “la conformità dei comportamenti umani a una norma giuridica o a un complesso di norme poste dall'autorità statale costituita”. Si può anche alludere al “ potere di realizzare il diritto e di dar forza esecutiva a esso”. L'autorità che esercita tale potere è la magistratura (Sapere). In senso sociale, la giustizia è la regolamentazione ordinata di una società in merito ai bisogni, capacità e meriti dei suoi membri (Sapere). Da questo punto di vista sociale, la giustizia svolge due funzioni fondamentali: riparare i torti (g. retributiva) e distribuire i beni (g.distributiva).

Secondo la giustizia retributiva, "il male richiama il male, il bene, il bene; il delitto merita una pena equivalente, la buona azione, il premio corrispondente. È una proiezione dell'idea del contrappasso o del contraccambio: la giustizia come >> vendetta o come riconoscenza. La funzione della giustizia è distribuire sanzioni e ricompense. Non è detto però che cosa sia bene e che cosa male; che cosa sia pena e premio. Per questo, siamo ancora una volta di fronte solo a una formula… Non ha a che vedere con la costruzione di una società giusta, ma solo con il ripianamento di uno squilibrio particolare (nel bene o nel male) determinatosi tra due soggetti. Non è una virtù attiva che porta a fare del bene, ad agire spontaneamente da giusto. È una virtù reattiva che ha come fine la soddisfazione del torto subito o il ricambiamento del bene ricevuto, perché tutto torni a restare come prima. Riportate le cose com'erano e, spenta la sete di vendetta o pagato il debito di riconoscenza, si può andare di nuovo ciascuno per la propria strada e, magari, non incontrarsi mai più" (Gustavo Zagrebelsky).

La giustizia distributiva"mira a promuovere un'equa ripartizione delle risorse comuni cioè una società materialmente giusta, nella quale non vi sia posto per invidie o risentimenti per le fortune altrui. È solo una formula. Non è detto, ma deve essere deciso, che cosa sia il contenuto di questa forma di giustizia. Non è detto quali siano le risorse, non necessariamente solo materiali, da distribuire; né quale debba essere il criterio della distribuzione. Si può ritenere che debba dipendere dal merito cioè, per esempio, dal contributo che ciascuno ha dato alla produzione del bene da distribuire (Aristotele, Et. nic., V, 4, 1131 b); oppure che debba pareggiare le disuguaglianze naturali esistenti tra gli uomini, per soddisfare le esigenze vitali di tutti. Come che sia, questi modi di intendere la giustizia, che hanno prodotto ideologie, movimenti e lotte politiche, indicano una tensione verso una qualche realizzazione di giustizia sociale, differenziandosi così dalla giustizia retributiva"(Gustavo Zagrebelsky).

Oltre alla giustizia retributiva e distributiva, espressioni di una "giustizia particolare" cioè relativa al singolo individuo, è stato elaborato il concetto di "giustizia generale o legale" relativa al bene comune della società, cioè di una giustizia che muove ciascuno a dare volentieri il proprio contributo per il bene comune (Aristotele, Tommaso d'Aquino ...). L'idea del bene comune è presente nella dottrina cattolica della giustizia sociale: "La società assicura la giustizia sociale allorché realizza le condizioni che consentono alle associazioni e agli individui di conseguire ciò a cui hanno diritto secondo la loro natura e la loro vocazione. La giustizia sociale è connessa con il bene comune e con l'esercizio dell'autorità".

Famosa è anche la definizione di giustizia di tipo formale "unicuique suum" cioè dare a ciascuno il suo (Ulpiano - Digesto I, 1, 10). Come osserva Zagrebelsky si tratta di "una formula tautologica e vuota, che chiunque – il superuomo nietzschiano, come l'apostolo della fratellanza umana; il combattente per il comunismo universale come il fautore della libertà dello stato di natura o il fanatico dello stato razzista – può facilmente fare propria perché lascia indeterminato ciò che è decisivo, la nozione di suum. Come tutte quelle puramente formali, anche questa rinvia a chi dispone della forza per stabilirla. Più che la formula della giustizia, è la massima del potere".

La giustizia è stata intesa anche con una accezione concernente la relazione uomo - universo. Ad esempio, :nell' antica Grecia la giustizia esprimeva anche l’ordine dell’intero cosmo, in ragione del quale ogni cosa occupava il proprio posto e svolgeva il compito che le era stato assegnato: "Da un capo all’altro del mondo, dagli inizi della preistoria, la credenza secondo cui la società deve seguire una certa strada – o “Via” – per conservare se stessa e il mondo che la circonda, è stato un tema corrente che ha attraversato molte società e culture. Questa Via, che una società deve seguire per conservare l’ordine del cosmo, è definita come quella che si conforma alle norme tradizionali, o “leggi” – leggi cui gli antichi greci alludevano parlando di Nomos o Dike – intese nel senso di giustizia, rettitudine o moralità ... La Via secondo i greci, doveva essere seguita non soltanto da tutti gli esseri umani, ma dal mondo naturale, dal cosmo e dagli stessi dèi. C’era, così, una singola legge che governava l’intera gerarchia cosmica. “Temi nel mondo di Zeus”, come scrive Pitagora, “e Dike nel mondo di quaggiù, occupano lo stesso posto e hanno lo stesso rango di Nomos nelle città degli uomini; così, colui che non fa bene il dovere prescrittogli può sembrare un trasgressore dell’ordine generale dell’universo ... Così, nell’antica Cina, il Tao allude, al contempo, all’ordine e alla Via del cosmo ...Esso rappresenta tutto quello che nell’universo è corretto, normale o giusto (ching o twan); e infatti, non devia mai dal suo corso ... Nell’antico Egitto, il concetto di Maat svolse un ruolo simile. Significava infatti “il giusto ordine nella natura e nella società, così come venne instaurato dall’atto della creazione … quello che è giusto, quello che è corretto, legge, ordine, giustizia – non soltanto nella società, ma nell’insieme del cosmo ... Un concetto simile esisteva nell’India vedica. Ad esso si faceva riferimento parlando di R’ta ...Più tardi, anche il concetto di Dharma fu usato dagli indù in un senso molto simile ...Nell’induismo di Bali, il Dharma è visto come “la forza organizzatrice che mantiene l’ordine, l’organizzazione che governa l’universo nel suo insieme, i rapporti tra le varie parti dell’universo e le azioni nelle varie parti dell’universo” ... Il Dharma buddista è la legge universale che abbraccia il mondo nel suo complesso ... Quando un lama buddista fa girare il suo mulino da preghiera, esegue un rituale che ha un profondo significato sia in termini di Dharma che di R’ta. Trova se stesso nella solidale relazione con la Ruota dell’Universo; compie l’atto che “mette in movimento la Ruota della Giustizia. Egli non osa girare la ruota in senso contrario, per paura di sconvolgere tutto l’ordine della natura”.. .nella Avesta persiana, si accenna alla Via in quanto Asha, rappresentante celeste della giustizia sulla terra ... Nell’antico giudaismo i termini usati sono Mishpat, che significa giustizia o retto giudizio e sedeq – più comunemente tradotto come rettitudine. Queste virtù sono attribuite a Dio, ma “la visione dominante è quella di una società umana in armonia con il cielo” ... Questa armonia è Shalom, pace (Società arcaiche e ordine cosmico di Edward Goldsmith).

Ma accanto ad una nozione oggettiva di giustizia portata avanti anche dai Pitagorici (per i quali la giustizia era “armonia”, in coerenza con la concezione matematica dell'universo) e da Platone, altri pensatori, come i sofisti, hanno propugnato una visione relativa della giustizia (c.d. relativismo individualistico), ponendo in discussione l’unità tra natura, physis, e le leggi della polis, nomos. In ragione di ciò, ad esempio, si affermava: "Quali cose a ogni città sembrino giuste e belle, queste sono tali per essa, fintanto che tali le creda" (Protagora). Di ogni cosa si può discutere, diceva Protagora, con pari attendibilità da punti di vista opposti (Sen., ep. 88, 43).

Un altro filone di indagine ha riguardato la descrizione dei requisiti della società giusta: ad esempio, lo studio di John Rawls concerne i principi che devono possedere le istituzioni di una società perfettamente giusta, rispettosa della libertà e della uguaglianza (Teoria della giustizia). Un altro filone di studio ha riguardato le modalità concrete di azione per arrivare ad una effettiva società giusta o più giusta: ad esempio, la ricerca di Amartya Sen "riguarda la possibilità di trovare un’intesa fondata sulla ragione su come ridurre l’ingiustizia nonostante le nostre diverse idee sullo stato ‘ideale’ delle cose ... privilegiando la teoria della scelta sociale rispetto a quella del contratto sociale” (L’idea di giustizia).

(2) Si pensi alle immagini che rappresentano la psicostasia egiziana (cioè la cerimonia cui, secondo il Libro dei morti dell'antica religione egiziana, veniva sottoposto il defunto prima di poter accedere all'aldilà) e alla pesatura delle anime da parte dell’Arcangelo Michele nelle rappresentazioni cristiane. Anche nella tradizione tibetana si fa menzione di una bilancia sui cui piatti, due entità pongono ciottoli bianchi e scuri a seconda delle azioni commesse. Nello Zoroastrismo si narra di un processo dove l’anima veniva pesata su una bilancia d’oro. Anche l’escatologia islamica contempla la bilancia, cioè una prova di pesatura: su un piatto venivano collocati i manoscritti recanti i peccati e su l’altro un foglio con la professione di fede.Ma se la vita, in sede di autoregolazione, ci costringesse, dopo la dipartita dalla terra, a riequilibrare la bilancia, cioè il bilancio in perdita della nostra vita, come adombrato nel giudizio di pesatura presente nelle tradizioni religiose, quali potrebbero essere le risorse oggetto di misurazione? La risposta, se ciò dovesse accadere, potrebbe essere semplice: la quantità e la qualità di tutte le energie prese e donate.

(3) Kazuo Marukami, Il Codice Divino della Vita cit., pagg. 156-157. Questo scienziato aggiunge:”studiando i geni, infinitesima parte della creazione, ho percepito l’esistenza di una simile entità (c’è chi lo chiama Dio, e chi lo chiama Budda) e questo mi ha profondamente commosso. La vera capacità di autodisciplinarsi nasce dalla consapevolezza che esista “Qualcosa di Grande” e tale coscienza può aiutarci a crescere enormemente come esseri umani”, ivi pag. 158

(4)"L'amore è una forma di ingiustizia, ma prima di imparare a manifestare tale ingiustizia che è l'amore, bisogna imparare a manifestare la giustizia. Mosé aveva imposto al popolo giudaico delle leggi implacabili: "Occhio per occhio, dente per dente"... Il minimo sbaglio doveva essere punito, non esisteva l'indulgenza né il perdono. Era normale, l'umanità era ad un livello di evoluzione che necessitava di regole ferree. A quell'epoca la giustizia era già un grande progresso … Gesù è venuto ad insegnare il perdono. Studiate il modo in cui si comportava con i poveri, i peccatori: attraverso il suo comportamento trasgrediva la legge di giustizia. Tuttavia nel trasgredire la legge di giustizia, istituiva la legge dell'amore." (Omraam Mikhaël Aïvanhov) .

(5) "La prossima volta che mangi una bistecca pensaci su. Pensa ai liquami che filtrano nelle falde acquifere, alle foreste disboscate, all' anidride carbonica e al metano che intrappolano il globo in una cappa calda. Sì perché ogni hamburger equivale a 6 metri quadrati di alberi abbattuti e a 75 chili di gas responsabili dell'effetto serra. Ma pensa anche alle tonnellate di grano e soia usate per dar da mangiare alla tua bistecca. E non dimenticare che 840 milioni di persone nel mondo hanno fame e 9 milioni ne hanno tanta da morirne. Il 70% di cereali, soia e semi prodotti ogni anno negli Usa serve a sfamare animali...la deforestazione per creare pascoli significa desertificazione ... Quasi la metà dell'acqua dolce consumata negli States è destinata alle coltivazioni di alimenti per il bestiame...è stato calcolato che un chilo di manzo beve 3.200 litri d'acqua. Il risultato è che le falde acquifere del Mid-West e delle Grandi Pianure statunitensi si stanno esaurendo. Non solo: l'allevamento richiede ingenti quantità di sostanze chimiche tra fertilizzanti, diserbanti, ormoni, antibiotici .. (www.progettogaia.it).